di CONSOLATA MAESANO
VILLA SAN GIOVANNI – Secondo e conclusivo appuntamento del meeting Legalitàlia sabato sera a Cannitello, dove gli ospiti del salone legalitario di Aldo Pecora si sono confrontati su una pluralità di temi.
Il pubblico ministero della Dda reggina Giuseppe Lombardo ha illustrato i cambiamenti che hanno investito il mondo della magistratura ed il ruolo dei giudici: «Penso che il ruolo della magistratura sia cambiato negli ultimi anni, seguendo anche una serie di classificazioni che provengono dalla società civile. Ancora molto noi dobbiamo fare: dobbiamo essere in grado di superare una serie di tecnicismi che a questa terra non servono, perché se ancora oggi alcuni fenomeni non sono pienamente ricostruiti, spiegati e fatti comprendere, dico che è anche colpa nostra. Il compito di un magistrato è semplificare tutta una serie di risposte e spiegare attraverso il proprio lavoro quali sono le chiavi di lettura per riconoscere determinati fenomeni e soprattutto nel momento in cui parliamo di gravi fenomeni criminali come le mafie di spiegare in maniera comprensibile e diretta che le mafie non sono più la coppola e la lupara, quel tipo di mafia non esiste più».
Un ruolo sempre più difficile viste le ristrettezze economiche che, inevitabilmente, avviano una politica di tagli con ripercussioni dannose: «Non dobbiamo metterci a fare i conti della serva: noi a Reggio Calabria siamo troppo pochi, perché abbiamo lo stesso carico di lavoro che ha un ufficio come Palermo: ma la procura di Palermo è tre volte quella di Reggio Calabria e obiettivamente io non penso di essere in grado di fare il lavoro di tre colleghi di Palermo».
Impossibile poi parlare di mafia attuale senza fare riferimento alla proiezione extraterritoriale:«Alcuni paesi europei hanno fatto finta di scoprire la presenza della ndrangheta nei territori solo dopo la strage di Duisburg, quando in realtà sapevano benissimo che i circuiti finanziari che contano e soprattutto il sistema bancario mondiale vive di capitali illeciti. Avremmo dovuto capire che la ndrangheta non era quella che ancora ci raccontavano fino a qualche tempo fa, ma era soprattutto un’enorme sistema criminale che spostava capitali ingenti e condizionava anche l’attività delle grandi banche europee: gli esempi risalgono già agli anni ’70. Probabilmente saremmo stati in grado di impedire che qualcuno dicesse pubblicamente: “ma come? in Germania esiste la ‘ndangheta?”».
Il giornalista Michele Inserra si è soffermato sulle ambiguità, sulle ombre che hanno coperto (e che in molti casi continuano a coprire) determinate categorie del mondo della magistratura e di quello mafioso: «Il primo grande problema è la mancanza di fiducia delle persone nelle istituzioni, purtroppo anche nella magistratura. Quando un cittadino vedeva il magistrato in compagnia o in bar dei mafiosi o di persone che venivano ritenute o percepite dalla comunità locale come appartenenti alla criminalità organizzata a chi doveva rivolgersi, se aveva qualcosa da denunciare? Per fortuna i tempi sono cambiati, per fortuna sono cambiati tanti magistrati. Non vediamo più i grandi magistrati andare in locali di persone che sono appartenenti alla criminalità organizzata. Tanti magistrati di adesso hanno ridato fiducia a questo territorio, a questa città. Qui non siamo in un territorio dove c’è una maggioranza di delinquenti: il problema è che una minoranza di delinquenti mantiene ostaggio questi territori. A me a volte preoccupa lo stato di incensurato: il pregiudicato lo conosco, so che è tale, so anche come prendere le dovute contromisure. Ma parecchie volte ho difficoltà a riconoscere la persona incensurata: area grigia, borghesia mafiosa, chiamatela come volete. La mafia è una cosa seria, ma l’antimafia parecchie volte non lo è: quindi bisognerebbe veramente approfondire a largo raggio, su tutti. Prima si parlava ancora di pentiti e pentitismo. Come mai in alcuni anni in questo territorio alcune dichiarazioni di pentiti non sono stati oggetto di riscontro da parte della magistratura?».
La deputata Dorina Bianchi è del parere che una vera rinascita del sud sia possibile solo se i suoi abitanti iniziano ad adottare un atteggiamento più propositivo: «Credo che un difetto importante del sud sia “la sindrome del palio di Siena”, come dice Bonzio: l’abitudine a realizzarsi nella sconfitta altrui, o di andare contro le menti altrui. Molto spesso noi nel momento in cui troviamo qualcuno che fa lo dobbiamo demolire. Dobbiamo iniziare a parlare di sud in maniera positiva. Noi abbiamo nel nostro sud delle grandi eccellenze, delle cose che funzionano e credo che dobbiamo ripartire da queste cose. Credo che bisogna iniziare a costruire attorno alle cose che funzionano e bisogna iniziare a farle vedere al mondo. Nel momento in cui noi ci piangiamo addosso, diciamo che tutto va male non facciamo altro che manfestarlo all’esterno: tutti si convincono che non ce la possiamo fare, che tutto è ndrangheta, che non funziona niente. Invece, nel momento in cui iniziamo a valorizzare tutto ciò che di bello, di buono, di efficiente c’è nel nostro sud, immettiamo un meccanismo positivo che da entusiasmo. Faccio un esempio: il software che sorveglia i traffici della camorra sui rifiuti viene costruito a Catanzaro».
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