di GIUSEPPE BRIGANTI
REGGIO CALABRIA – Raccontare il rapporto tra Facebook e le persone attraverso delle storie. E’ questo l’obiettivo che la giornalista Paola Bottero si è prefissata con la sua ultima opera letteraria: “Faceboom. Vivere al tempo del social”. Una serie di racconti che si susseguono a ritmo sostenuto, nel quale il protagonista di turno si fa portatore delle contraddizioni e delle distorsioni causate da un rapporto troppo ossessivo con il social network. Il risultato è un affresco della società contemporanea, nel quale gli aneddoti – a volte estremizzati – disegnano una deriva esistenziale ora più che mai a portata di mano.
Il libro è stato presentato il 14 novembre al Salone della Provincia di Reggio Calabria. Presenti, l’autrice, il presidente dalla Provincia di Reggio Calabria Giuseppe Raffa, il presidente del Consiglio regionale Nicola Irto, lo scrittore Mimmo Gangemi, la speaker Marisa Larosa, la giornalista Gabriella Lax e lo storico (e docente) Daniele Castrizio. Gli ospiti hanno parlato del libro e raccontato cosa ha colpito il loro immaginario collettivo, ma hanno anche esposto la propria visione sul rapporto tra la società e il social network.
Giuseppe Raffa, pur riconoscendo la necessità di un utilizzo oculato, intravede nei social aspetti positivi. Alcuni di questi riguardano il lavoro degli amministratori. “Facebook ha una valenza straordinaria. Dà la possibilità a noi amministratori di interpretare la società. Nei social c’è di tutto: da quello che si mangia a quello che si pensa e per chi ricopre un ruolo istituzionale la capacità di leggere la comunità è molto importante”.
Nicola Irto, invece, si è soffermato sull’impatto di Facebook in quanto network informativo. Al netto dei risvolti sociali, il social è capace di fornire una finestra, immediata e senza filtri, sul mondo. Per spiegare questo concetto ha preso a riferimento i tragici fatti di Parigi, le cui notizie hanno prima raggiunto i social e solo dopo televisioni e agenzia di stampa. Facebook però presenta anche una faccia oscura: si presta ad essere utilizzato per intrecciare relazioni pericolose per la società e per la comunità internazionale. “Pare che Facebook sia il filo conduttore che permette di arruolare i miliziani dell’Isis. E’ risaputo che alcune persone comuni, francesi, inglesi, italiani e occidentali in generale, riescono a contaminarsi e a radicalizzarsi con una spinta ideologica che porta a fare quello che è stato fatto ieri (gli attentati di Parigi, ndr)”.
Ma Facebook, evidentemente, non agisce solo a livello politico o ideologico. E’ anche un medium in grado di modificare le fondamenta del vivere sociale, di influenzare i rapporti. A indagare questo aspetto è stato soprattutto Daniele Castrizio. Il professore ha espresso i suoi timori circa la deriva dell’esibizionismo, che ha nei social il suo canale fondamentale. Una deriva che vede nei più piccoli (nativi digitali) le vittime più indifese. “I giovani credono che la vita sia questa, che sia l’apparenza stessa, che un fatto se non puoi rappresentarlo o mostrarlo non è mai avvenuto, che non si possa vivere di amicizia, di amori e di affetti”.
Dunque, Facebook va demonizzato? E’ uno strumento in grado di portare alla deriva chi lo usa? Secondo l’autrice Paola Bottero, che ha tirato le somme del dibattito, il problema non sta nel mezzo, ma nella realtà che quel mezzo esprime. Il marcio non è in Facebook, ma nella società. Il social, semmai, ha l’unica “colpa” di mostrare candidamente il “brutto che c’è nel mondo” e privare le persone della possibilità di girarsi dall’altro lato e non guardare. “Il problema non è Facebook, il problema è che noi abbiamo perso un orizzonte. Facebook è semplicemente la società stessa, che è liquida. Una società impalpabile, in cui abbiamo perso il senso di tutto, in cui ci facciamo inghiottire dalla voglia di popolarità. Sul piatto vedo ogni giorno un ricorrere il nulla, convinti che sia qualcosa”.
Paolo Bottero, con Faceboom, ha esposto questa realtà. “Con queste diciotto storie ho voluto raccontare questa società, dimostrare cosa si può diventare se si perde l’umanità”. Storie raccontate con uno stile coinvolgente che, come ha riportato Mimmo Gangemi, “è asciutto e incisivo quando deve esserlo e ricco di dettagli quando la narrazione lo richiede”. Una successione di colpi allo stomaco, in grado di esprimere, per dirla con le parole dello scrittore “una umanità dolente”.
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