VILLA. Presentato il libro “A’ndrangheta”: cultura e Stato parole d’ordine contro la mafia

13 Dicembre 2015
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di CONSOLATA MAESANO

VILLA SAN GIOVANNI – Tante storie, legate insieme da un unico filo; altrettante vite, un unico comune denominatore. Quest’elemento costante è la ‘ndrangheta, che come una piovra ha stritolato coi suoi tentacoli poliziotti, testimoni, bambini, giudici, madri.
Una piovra che è cresciuta indisturbata, in un oscuro e silenzioso abisso, dove dell’intervento dello Stato non si è vista per anni neanche l’ombra: il peso della mafia è difatti direttamente proporzionale all’assenza delle istituzioni, alla pochezza e scarsità dei mezzi messi in campo per combatterla.

Questo, in estrema sintesi, il contenuto di “A’ndrangheta – Evoluzione e forme di contrasto” (Falzea editore), il testo scritto da Cosimo Sframeli e Francesca Parisi, rispettivamente luogotenente dei Carabinieri e maresciallo dell’Arma.

Il volume è stato presentato ieri pomeriggio presso la sala consiliare del Comune di Villa San Giovanni, nel corso di un incontro organizzato dall’Asd Polizia di Stato Tennis Reggio Calabria e patrocinato dall’Amministrazione comunale.

Dopo i saluti iniziali del presidente dell’Asd Polizia Giovanni Colosimo e dell’assessore alla Cultura Lorenzo Micari, l’iniziativa è entrata nel vivo con gli interventi dei relatori, moderati dalla giornalista Maria Manti.

Francesca Morabito ha tracciato un breve quadro della storia del fenomeno criminale, ripercorrendone le interpretazioni: «La ‘ndrangheta è un fenomeno della società, una piaga sociale sempre più in espansione: le sue attività vanno dal traffico di droga alla prostituzione, dall’estorsione al riciclaggio. La sua evoluzione ha visto i contadini trasformarsi in imprenditori. La ‘ndrangheta fu sottostimata, poco studiata. Venne considerata solo una filiale (parecchio arretrata) della mafia. Questi stereotipi vennero smentiti quando apparve evidente la modernità e la mondialità della ‘ndrangheta”».
Morabito ha poi commemorato la memoria di Carmine Tripodi, il giovane brigadiere in servizio a San Luca freddato dalla ‘ndrangheta trent’anni fa, sottolineando come la sua morte non sia stata vana: «Il sacrificio di Carmine Tripodi e quelli di tutte le vittime di ‘ndrangheta rappresentano una ferità per tutti i calabresi, un crimine contro la loro dignità. Ma da tale sacrificio sorge il riscatto e nasce il dovere di insegnare a tutti che non bisogna mai piegare la testa e cedere alle lusinghe e alle facili promesse: chi non lo fa dimostra amore per sé, per la comunità e per la libertà».

Mario Alberti, rappresentante del terzo settore della zona grecanica, ha evidenziato come la lotta alla mafia sia una guerra da affrontare con strumenti sociali e culturali: «La ndrangheta prolifera in un contesto in cui i diritti vengono negati e la popolazione si vede costretta a ricorrere al clientelismo. Per questo la lotta alla mafia è innanzitutto una lotta culturale: è una lotta per i diritti, per far sì che essi vengano garantiti e non presentati come favori, strumentalizzati. Questa lotta culturale deve coinvolgere tutta la cittadinanza e deve vedere in prima linea tutte le agenzie formative».
Soprattutto, il primo passo per sconfiggere la criminalità organizzata è parlarne a carte scoperte: «Fino a poco tempo – prosegue Alberti – della ‘ndrangheta neppure se ne parlava e tuttora quando ne parliamo tendiamo ad abbassare automaticamente la voce, come se avessimo paura. Ma parlarne è importante: serve a sconfiggere questa vergogna della società».

Sulla stessa linea di pensiero Letizia Orlando: «Le armi fondamentali dell’antimafia sono la cultura e l’istruzione. La cultura non è altro che un’arma sfuggita alla mafia”. La mafia sarà estinta quando non riceverà più il consenso sociale: “La mafia non esiste solo quando fa rumore, quando lascia morti. Essa agisce nel silenzio, creando relazioni. Non va dimenticato che la mafia esiste solo in conseguenza al consenso che ottiene nella popolazione: non c’è mafia senza benestare. Anche il clientelismo elettorale la nutre: è per questo che non bisogna cedere a compromessi in cabina elettorale. La lotta alla mafia non è affare esclusivamente della magistratura e delle forze dell’ordine. La criminalità non verrà mai sconfitta senza la cultura e l’intervento delle istituzioni: bisogna creare servizi, opportunità, fornire una buona istruzione, perché la mafia attinge al mondo dei disperati, degli emarginati».

Il dibattito è stato intervallato dagli intermezzi dialettali dell’attore Giuseppe Mandica, accompagnato dal maestro Rocco Cotroneo, e dalle letture di Natalia Bellantoni dell’Asd Tennis.

E’ infine arrivato il momento del grande protagonista della serata: Cosimo Sframeli, che oggi è anche consulente della Commissione Parlamentare Antimafia. L’autore ha in primis spiegato come l’assenza dello Stato nel Meridione abbia rappresentato un fertilissimo terreno per la criminalità organizzata: «Lo Stato ha responsabilità nell’affermazione della ‘ndrangheta: quando le istituzioni indietreggiano la mafia avanza. Storicamente, i cittadini calabresi sono stati costretti a rivolgersi alla ndrangheta per ottenere giustizia, per difendersi dalle ingiustizia: non hanno trovato lo stato a svolgere tali compiti. L’elemento del cittadino calabrese che si ribella alle ingiustizie è difatti costantemente presente nella storia e nelle leggende sulla ndrangheta. Si pensi al mito sulla nascita della mafia. I tre fratelli, i tre cavalieri Osso, Carcagnosso e Mastrosso fondarono rispettivamente la mafia, la ndrangheta e la camorra in seguito alla riparazione di un’ingiustizia subita: lo stupro della sorella. Essi ripararono il torno uccidendo il colpevole e scontarono una pena di quasi trent’anni. O ancora, la storia del brigante Musolino. Anche lui subì un’ingiustizia: innocente, fu accusato di omicidio e venne mandato in galera, pur non avendo commesso il fatto. Anche lui è una vittima».
Sframeli ha dunque riproposto molti elementi della simbologia mafiosa e ha ripercorso le principali tappe storiche della ‘ndrangheta: la dissociazione dal brigantaggio a fine ottocento, la stagione dei sequestri di persona negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso e la trasformazione imprenditoriale della mafia contadina.

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