SCILLA. Malato oncologico denuncia il «furto» dell’ospedale: «Reale fallimento della politica attiva»

1 Febbraio 2016
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L'Ospedale "Scillesi d'America" - Scilla

L’Ospedale “Scillesi d’America”

SCILLA- Di seguito la lettera aperta divulgata nei giorni scorsoi dal signor Paolo Picone: Chi scrive è un quasi ottantenne nato, cresciuto e sempre vissuto a Scilla. Fra tutte le cose belle e brutte e direi strane vissute in questi miei decenni, a dir la verità cose ignobili, irresponsabili, superficiali ma soprattutto senza coscienza come in questi ultimi cinque anni, non mi era capitato di vederle mai. Mi riferisco, mi si perdoni il termine ma è la pura verità, al furto dell’Ospedale “Scillesi d’America” di Scilla. La storia è molto lunga. A mio giudizio, un “Ospedale” in quanto tale -e lo “Scillesi d’America” di Scilla lo era- non può, per puri calcoli politici, essere considerato come un supermercato o qualcosa di simile, per ordinare la chiusura di un Servizio Pubblico che non serviva a soddisfare i bisogni di pancia ma a dare la vita, l’aiuto o l’assistenza a coloro con i quali madre Natura non è stata, purtroppo, così benevola come con coloro che dispongono della salute delle persone meno fortunate di loro come le carte del tressette. Quando ai Signorotti della politica l’Ospedale “Scillesi d’America” ha fatto comodo, visto il suo magnifico funzionamento per oltre 50 anni, tutti lì pronti ad accaparrarsi posti o quant’altro poteva esser utile per la loro carriera politica. Mi si dice oggi: le cose cambiano. Che cosa cambia?Il malato, forse, non si chiama più malato e quindi non ha bisogno di cure? Nella mia vita solo due cose ho ritenuto importanti: al primo posto, la salute; al secondo, il lavoro. Purtroppo, cari politici di turno, per voi non è così, la realtà ce ne dà chiara prova. In questo ultimo decennio, tante promesse, tante parole, incontri, convegni, risate, ma niente di niente su quanto di positivo c’era -in quelle occasioni- è stato detto. Nella sostanza, sono risultate soltanto una serie di prese in giro, fatte solo per placare la piazza. Così, chi ha la paternità della chiusura dello “Scillesi d’America”, a mio avviso, non si è accorto -o non ha voluto accorgersene?- di aver usurpato illegalmente un bene di Scilla e dei tanti scillesi emigrati negli Stati Uniti, che con enormi sacrifici hanno voluto realizzare nel loro paese natale una struttura che potesse dare speranza a chi ne avesse avuto la necessità. Il dono più grande che Dio ha voluto fare all’uomo per Sua libera scelta, è la VITA. L’uomo ha l’obbligo di custodirla, proteggerla, curarla. Alla luce di quanto è accaduto contro l’Ospedale di Scilla, viene da chiedersi: che fine ha fatto quest’obbligo?! Lo “Scillesi d’America” ha garantito cure ed assistenza a un bacino d’utenza di circa 50.000/60.000 persone, utenza che nei mesi estivi toccava punte di 70.000/80.000 soggetti. E che la struttura scillese riuscisse a sopperire alle esigenze sanitarie ospedaliere. Lo dimostra (leggendo le cartelle cliniche degli anni passati) il lodevole servizio attivo h24 del pronto soccorso, con il laboratorio analisi, la radiologia, chirurgia, medicina, cardiologia, ginecologia, ecc. come mai di tutto questo ce ne si è infischiati? Hanno deciso che la struttura doveva essere chiusa e non sono certamente stati i malati a farlo. Quali sono i veri, reali motivi che hanno indotto i benpensanti a prendere questa sciagurata decisione? Non sono ancora venuti alla luce. Quante erano e sono le persone che, a vario titolo, a turno, hanno preso certe inumane ed irresponsabili decisioni come questa? Sicuramente non sono stati i 50/60.000 di cui sopra né, tanto meno, i MALATI, specie coloro che hanno bisogno di cure immediate per poter sperare in una vita (dono di Dio, non degli uomini) un po’ più tranquilla. Si va dicendo da anni che l’Ospedale di Scilla dev’essere trasformato in Casa della Salute, ma chi non ha la salute, che necessità avrebbe di andare in questa Casa? Cosa si nasconde realmente dietro questa variante? Bisogna prendere atto delle reali necessità del malato e dei problemi di salute che lo stesso presenta, e cercare di risolverli con i mezzi idonei e non con un semplice cambio d’insegna, tipo supermercato. Un ospedale non è una fabbrica o un’azienda agricola che debba produrre tornaconto o profitto, ma un luogo di accoglienza per i malati, speranzosi di riavere una vita più tranquilla e serena. Fino a qualche giorno fa era attiva presso l’Ospedale “Scillesi d’America” di Scilla l’unità oncologica magistralmente gestita dai Dottori Tropea e De Stefano, con tutti i loro collaboratori. A chi scrive, purtroppo, dopo visite, controlli ed esami vari cui è stato sottoposto di recente, è stato diagnosticato un tumore. Sapendo che presso l’ospedale scillese vi era un’unità oncologica, su consiglio del medico di famiglia, vi si è recato per una visita e consulto. Dai conseguenti esami, veniva confermata la diagnosi e si è dato avvio a una cura specifica, con relative verifiche periodiche al fine di seguire l’andamento terapeutico. Qualche giorno fa, dovevo ritornare per la visita di controllo ma vengo a conoscenza (tramite la stampa) del fatto che l’unità oncologica era stata trasferita temporaneamente Reggio Calabria, per poi essere spostata definitivamente a Melito Porto Salvo e che, per giunta, gli uffici della stessa unità ospedaliera erano stati sigillati. La mia ira e il mio disappunto sono stati indescrivibili e, oltre al male fisico, ne ho risentito maggiormente nel morale. Lo stesso, immagino, sia stato per gli altri malati già in cura presso l’unità scillese. Non so e non voglio sapere chi ha ordinato tale ultimo obbrobrioso e vergognoso atto contro l’ospedale scillese. Rimango però convinto di una cosa: chi ha agito in questo modo, non merita alcuna comprensione o compassione, così come non ne ha avute per tutti i pazienti di quell’unità. Disfare è facile, specie quando se ne ha il maledetto potere. Costruire, invece, non lo è. La chiusura dello “Scillesi d’America” non riguarda solo la struttura, ma è un duro colpo al cuore di chi ha dato vita, ha fatto crescere e consentito una gloriosa esistenza a una struttura che si chiamava “Ospedale”. A questo punto, e chiudo, si manifesta il reale fallimento della politica attiva; si consuma il tradimento di chi si è preso il consenso elettorale in questi ultimi quindici anni e l’assoluta incapacità di dar vita a una forza unica, politico-popolare, a difesa di un diritto -quello alla salute- che a Scilla non è stato riconosciuto, cancellando lo “Scillesi d’America” e, con esso, la storia degli ultimi 60 anni di una comunità intera. L’Ospedale di Scilla, dal punto di vista giuridico, era ed è ancora degli Scillesi, non della Regione Calabria. Tanto che i vari contributi statali o regionali per la realizzazione dei lavori di ampliamento sono stati a suo tempo assegnati all’Ente “Ospedale Scillesi d’America”. La mia professione, mi ha abilitato alla stima di un terreno, di un fabbricato, di un immobile in genere. Quale altra professione è, invece, abilitata a stabilire quanto valga una VITA UMANA? Desidererei saperlo. Grazie per lo spazio concessomi e della possibilità di dare a queste riflessioni la massima diffusione, a beneficio non solo dei cittadini di Scilla, ma dell’intero comprensorio dello Stretto.

 

                                                                                              

 

 

 

 

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