VILLA SAN GIOVANNI – Il territorio si incontra per rendere omaggio alla memoria di uno tra i più illustri uomini della sua storia recente: il magistrato campese Antonino Scopelliti, assassinato dalla mafia il 9 agosto del 1991. La sua figura e l’evoluzione della ‘ndrangheta nell’ultimo quarto di secolo sono state difatti oggetto di un convegno organizzato dall’associazione culturale Ponti Pialesi, svoltosi giovedì pomeriggio. L’iniziativa ha rappresentato il primo appuntamento del progetto culturale del museo delle memorie, presso il presidio della legalità “Antonino Scopelliti” di Piale di Villa San Giovanni.
I lavori si sono aperti coi saluti della figlia del magistrato, Rosanna Scopelliti, che attraverso una lettera ha ringraziato l’associazione per l’iniziativa: “Mio padre era un figlio di questa terra che è stato ucciso proprio qui, nei luoghi che amava, per aver fatto scelte di onestà e dignità. Non un eroe, ma un calabrese libero, onesto e coraggioso. Papà è stato vittima di un sodalizio criminale tra cosa nostra e ‘ndrangheta. È bello oggi raccontarne la storia in questo luogo simbolico, perché è dalla memoria che deve nascere l’impegno per vivere quotidianamente la legalità e per salvaguardare la vera antimafia”.
E’ dunque seguita l’esposizione di un murales raffigurante il compianto magistrato, realizzato dagli artisti Rocco Caricato e Davide Ricchetti. Per l’occasione sono stati resi consultabili gli articoli dell’attentato, messi a disposizione dalla famiglia del giornalista villese Pepè Caminiti.
Ospiti d’eccezione il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, giunto a sorpresa a Piale per scoprire il murales dedicato a Scopelliti; in rappresentanza della Dda reggina è arrivato anche Roberto Di Palma, tra i relatori al tavolo dell’incontro. De Raho ha commentato con soddisfazione l’evento: “Manifestazioni come queste risvegliano l’onore e la dignità di questa terra e sono il mezzo migliore per onorare la memoria del giudice Scopelliti. È un segnale che in questo territorio tante cose stanno cambiando”.
Il dibattito è dunque entrato nel vivo, con gli interventi dei relatori: il professore Enzo Ciconte e Roberto di Palma, moderati dal giornalista Michele Albanese, sotto scorta per aver raccontato le vicende degli inchini nella Piana di Gioia Tauro.
Ciconte ha posto l’attenzione sul mistero che continua ad avvolgere l’attentato: “E’ gravissimo che, a venticinque anni di distanza dall’omicidio, non sia stata giuridicamente accertata la verità e che manchino tuttora mandati e esecutori. Si tratta di una situazione inaccettabile. Vige ormai unanimità circa l’interpretazione del delitto quale accordo tra cosa nostra e ‘ndrangheta, ma continua a persistere quell’alone di mistero. Scopelliti era un personaggio scomodo per la mafia siciliana: avrebbe dovuto rappresentare la pubblica accusa nel maxiprocesso contro cosa nostra e i vari tentativi di corruzione si rivelarono infruttuosi. Scopelliti infatti era un giudice tutt’altro che accomodante: l’unica soluzione si rivelò il suo omicidio. In cambio, cosa nostra intervenne per far cessare la seconda guerra di ‘ndrangheta”.
Il dibattito è proseguito ponendo l’accento sulla dimensione extraterritoriale della mafia calabrese: “Se prima si diceva che la ‘’ndrangheta fosse un fenomeno del sud, squisitamente calabrese adesso invece si sente spesso ripetere che i calabresi abbiano esportato la ‘ndrangheta al di fuori della regione, che l’abbiano fatta giungere nel nord Italia, in Europa, negli altri continenti. Ma si dimentica di sottolineare un elemento fondamentale: le tantissime vittime della ‘ndrangheta calabresi”.
Di Palma si è soffermato sul quadro della sinergia tra le due associazioni criminali: “Tra le due mafie i contatti furono intensi e determinarono una serie di scambi di favori in differenti ambiti. Ad esempio quello militare: le due organizzazioni si scambiavano reciprocamente killer. Anche a livello economico, ci furono ditte calabresi in territorio siciliano e viceversa. Poi la ‘ndrangheta iniziò a divenire leader mondiale nel narcotraffico. Cosa nostra chiede soprattutto infiltrazioni nella politica e nelle istituzioni, chiede coperture e permeazioni all’interno dello stato. Questi meccanismi condizionano in pieno le scelte economiche: si pensi all’attenzione per le opere pubbliche e per i loro appalti”.
Unanime l’invito lanciato nel corso del dibattito, un invito alla dignità, all’onestà, al coraggio, che poi non è altro che un invito alla normalità, un invito a rifiutare qualsiasi patto con la criminalità organizzata, a non essere in qualche modo complici, omertosi, perché è dal silenzio e dalla paura altrui che la ‘ndrangheta trae forza. Tutti devono fare la propria parte per sconfiggere il cancro che impedisce la crescita della Calabria, cittadini e istituzioni. E un segnale forte è necessario anche e soprattutto dallo Stato, che deve offrire più strumenti per portare avanti la lotta contro le ‘ndrine.
A conclusione dell’incontro è intervenuto il presidente di Ponti Pialesi Francesco Marcianò, che ha ringraziato per i contributi all’evento ed ha espresso soddisfazione per l’avvio del progetto di cultura legalitaria “Museo delle memorie”.
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