Antonino Scopelliti fu un magistrato italiano. Nato a Campo Calabro il 20 gennaio 1935, diventa ben presto uno tra i giudici più giovani italiani: entra in magistratura a soli 24 anni, nel 1959.
Importante studioso di diritto, in prima linea per sostenere la necessità di garantire “privilegi particolari e maggiore protezione” a tutti i pentiti delle associazioni di mafia, perché- disse- “quando accettano di collaborare con la giustizia accettano di rischiare la propria vita”.
Esordisce come Pubblico Ministero alla Procura della Repubblica di Roma, poi passa a quella di Milano.
La sua è una carriera in fulminante ascesa: Scopelliti in poco tempo ricopre l’importantissima carica di Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione.
Si occupa dei più delicati ed importanti processi italiani: il primo processo Moro, l’assassinio dei giudici romani Vittorio Accorsio e Mario Amato, l’omicidio del giudice Chinnici, la strage di Piazza Fontana, la strage del rapido 904, l’uccisione del capitano Basile, il processo Piromalli, De Stefano, Mammoliti, la conferma del carcere per 65 presunti boss mafiosi coinvolti nel primo processo a cosa nostra, la conferma della sentenza di condanna per buona parte dei 76 imputati nella cosiddetta mafia di provincia.
Il magistrato era solito trascorrere le vacanze estive nella casa dei genitori a Campo Calabro. Senza scorta e abbastanza routinario, si recava quotidianamente a mare, percorrendo senza protezione e sempre agli stessi orari il medesimo tragitto.
Il 9 agosto 1991 venne assassinato mentre rientrava dal mare, su un rettilineo che collega Villa San Giovanni a Campo Calabro: i killer- almeno due, accostati lungo la strada e probabilmente su una moto- spararono con fucili calibro 12 caricati a pallettoni, colpendo mortalmente alla testa Scopelliti. La sua Bmw, totalmente fuori controllo, andò fuori corsia finendo su un terreno sottostante: per questo motivo in un primo momento l’assassinio sembrò un incidente stradale, poi smentito.
Scopelliti stava lavorando al maxiprocesso a cosa nostra, di cui avrebbe dovuto rappresentare la pubblica accusa in Cassazione.
L’omicidio venne ordinato dai siciliani di cosa nostra alla ‘ndrangheta calabrese, perché i diversi tentativi di corrompere Scopelliti si rivelarono infruttuosi: un pentito, Marino Pulito, testimoniò che il giudice rifiutò 5 miliardi di lire per “raddrizzare” la requisitoria contro i boss siciliani. In cambio, cosa nostra avrebbe fatto finire la seconda guerra di ndrangheta.
Il movente dell’omicidio sta dunque nell’incorruttibilità del magistrato: come testimoniano difatti le diverse testimonianze dei pentiti siciliani e calabresi la mafia, in vista dell’appello in cassazione del maxi processo, tentò più volte di corrompere il giudice, senza successo: Scopelliti- di cui era rinomata la severità ed il rigore morale: andava ammorbidito, in modo tale che non pronunciasse sentenze pesanti. Quando la mafia capì che questi tentativi furono infruttuosi, l’unica soluzione rimase l’omicidio.
I processi per l’omicidio Scopelliti furono due: uno nel 1996 contro Riina e sette boss siciliani, l’altro nel 1998 contro Provenzano ed altri 6 boss. Si arrivò ad una condanna in primo grado e a un’assoluzione in Corte d’Appello, perché le accuse dei 17 collaboratori di giustizia vennero ritenute discordanti.
La svolta si ha nel 2012 quando, nel corso del processo Meta, un pentito della cosca De Stefano, Antonino Fiume, testimoniò che Scopelliti sarebbe stato ucciso da due reggini su richiesta di cosa nostra. Il pubblico ministero però non permise al pentito di fare i nomi dei due presunti assassini.
Scopelliti era chiamato il giudice “solo”: solo morì, e la sua memoria venne totalmente abbandonata sin da subito, da parte di istituzioni e mezzi di comunicazione.
Sull’«Espresso» del 25 agosto 1991, Antonio Chiodi annotava: “Una coltre di rassegnazione copre in fretta la notizia di un delitto eccellente. La morte di Antonino Scopelliti, 56 anni, magistrato di Cassazione, trucidato dalla mafia in Calabria il pomeriggio di venerdì 9 agosto è rimasta sulle prime pagine dei quotidiani appena quattro giorni. A Ferragosto il suo nome era già relegato all’interno”.
‘Avete avuto un grande esempio in questa terra – disse il Magistrato di Palermo Caponnetto – si chiamava Antonino Scopelliti. Conoscevo il suo impegno, la sua dedizione allo Stato. Eppure sembra che lo si voglia dimenticare, che lo si voglia rimuovere dalla coscienza. Non c’è una piazza o una via intitolate a Scopelliti, mentre sono migliaia le piazze intitolate a Borsellino e Falcone’. Ed ancora: ‘Era il magistrato più coraggioso, più invulnerabile. Era temuto per la sua intelligenza e per la sua onestà. E come si può dimenticare un sacrificio del genere?’
Sempre Caponnetto, il padre dei pool antimafia, in un articolo de La Stampa del 9 agosto 1993, ricorrenza del secondo anniversario di morte di Scopelliti denunciò due gravi episodi con cui le istituzioni gettavano nel dimenticatoio la memoria ed il sacrificio del giudice calabrese: il suo nome non appare tra i nomi delle vittime di mafia nella trasmissione Rai “lezioni di mafia”, inoltre la proposta di intitolare un’aula di tribunale alla memoria del giudice venne respinta dalla magistratura: “Per motivi che non riesco a comprendere e benché, in ogni mio incontro con gli studenti di tante città, io abbia sempre ricordato il sacrificio di Antonino Scopelliti, che mi fu non solo collega ma anche caro amico, il suo nome è stato troppe volte ignorato e lo è ancora. Ricordo, ad esempio, quel rullo col quale iniziavano le puntate della serie <lezioni di mafia>, andate in onda circa un anno fa sul secondo canale televisivo e sul quale erano riportati i nomi dei più noti servitori dello stato uccisi dalla mafia: mancava solo il nome di Scopelliti, né all’omissione fu posto riparo dopo che io ebbi a segnalarla al dott. La Volpe in un nostro incontro a Genova. Ed ho anche appreso, dagli amici e dai familiari di Antonino, dell’incomprensibile e deplorevole rifiuto opposto della corte alla proposta di intestare un’aula a nome del valoroso magistrato scomparso”.
Tuttavia, negli ultimi anni il muro di silenzio che imprigiona la memoria del giudice è stato abbattuto.
Ciò grazie all’azione di Rosanna Scopelliti, figlia del compianto giudice in prima linea per ricordare il padre e per merito di Aldo Pecora, fondatore dell’associazione antimafia “ammazzateci tutti”.
Nell’agosto nel 2007 venne istituita la “fondazione Scopelliti”, un ente no profit antimafia in memoria del giudice, di cui Rosanna Scopelliti è presidente e Aldo Pecora segretario generale; inoltre ogni anno, in occasione dell’anniversario di morte di Scopelliti, “ammazzateci tutti” e Rosanna Scopelliti organizzano a Reggio Calabria “Legalitalia”, un importante meeting nazionale di cultura legalitaria.
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