Visto l’esempio che il Ministero degli Interni non cessa di indicare in merito al rispetto dei diritti umani – come nel caso dello sgombero dei rifugiati eritrei di piazza Indipendenza a Roma – non sorprende che anche a livello locale si seguiti nel perseverare pratiche repressive il cui unico effetto è quello di ledere la dignità umana e di minare alle fondamenta qualsiasi possibilità di integrazione dei richiedenti asilo.
Ci riferiamo all’ennesimo episodio di revoca dell’accoglienza comminata nei confronti di migranti soggiornanti nell’Hotel ‘Excelsior’ di Gambarie, già balzato più volte agli onori (e che onori!) delle cronache locali e nazionali come fulgido esempio di mala accoglienza.
Per quanto la revoca dell’accoglienza costituisca una pratica prevista dalla legge, il ricorso ad essa dovrebbe essere valutato in extrema ratio; assistiamo increduli, invece, alla frequenza con cui tale dispositivo viene impiegato per troncare sul nascere le più che legittime rimostranze avanzate dagli ospiti della struttura. Questo modus operandi dal dubbio valore morale viene così frequentemente invocato, tra l’altro, da una struttura che – a quanto ci risulta, e speriamo di poter essere presto smentiti – non ha ancora affidato l’espletamento dei servizi di assistenza nei confronti dei migranti ad alcuna cooperativa, di modo che ad oggi gli ospiti del centro non ricevono alcuna informativa legale o assistenza sanitaria da parte di personale competente; né sono inseriti in sistematiche attività di alfabetizzazione linguistica e volte all’integrazione. Ci chiediamo in proposito chi espleti ufficialmente tali servizi, la cui ormai sistematica assenza appare quantomeno singolare.
Ci appare inoltre barbara la prassi di ingannare i migranti oggetto della revoca dell’accoglienza dicendo loro di salire su un pullman per essere trasferiti ad altra struttura quando invece questi vengono abbandonati fuori città, in campagna o in luoghi decentrati, senza ulteriori informazioni, come da manuale delle peggiori tradizioni repressive dei paesi sudamericani. Questa volta pare – e speriamo ancora una volta che questo dato sia infondato – che i migranti siano stati abbandonati nella zona di Rosarno, e che questi abbiano poi autonomamente dovuto cercare la strada per la stazione.
Quandanche fosse vero che i migranti oggetto del provvedimento fossero stati protagonisti di atti rispetto ai quali la revoca si mostrava necessaria, quale sarebbe l’utilità sociale di abbandonare a se stessi dei soggetti potenzialmente ‘pericolosi’? Dove dormiranno? Come vivranno ‘materialmente’ fino a quando si compirà l’esame delle loro richieste di asilo? Quale strada, quale ghetto saranno costretti ad abitare in assenza di un tetto? Oltre a delegare le tribù armate del Fezzan libico per contenere i flussi, qual è la strategia dello Stato italiano per gestire il fenomeno migratorio? Non si sarebbe rivelato più assennato prestare ascolto alle sistematiche denunce di quei ragazzi prima di ricorrere alla revoca, valutando l’esistenza di percorsi alternativi al razzismo istituzionale?
CO.S.MI – Comitato Solidarietà Migranti
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