di FRANCESCA MEDURI
VILLA SAN GIOVANNI – Pausa cena andata per le lunghe nell’ultima seduta del consiglio comunale: quella che viene annunciata come una breve riunione di maggioranza diventa invece una conviviale serata in pizzeria nel locale che si trova a pochi passi dal palazzo municipale. Mentre i giornalisti e i pochi cittadini presenti attendono in aula per conoscere l’esito della mozione presentata dal consigliere Mimmo Aragona sui lavori ad opera di Caronte&Tourist, i consiglieri comunali villesi – minoranza compresa, anche se forse per i “fatti suoi” – si rifocillano dalla faticosa attività consiliare iniziata attorno alle 18. Tra un boccone di pizza e una chiacchiera e l’altra, però, perdono di vista le lancette dell’orologio in barba al ruolo istituzionale assegnato loro dal popolo sovrano e per lo svolgimento del quale vengono retribuiti. Usciti dalla sala del Consiglio alle 21,10 circa, vi fanno rientro soltanto alle 22,30. A qualche minuto prima risale il ritorno in aula dei consiglieri di minoranza, che non per questo si salvano dal voto tondo tondo conquistato dal gruppo di maggioranza capitanato dal sindaco: zero in condotta. Con le due eccezioni rappresentate da Maria Giovanna Santoro per la maggioranza e da Mimmo Aragona per la minoranza, che restano in aula e pazientemente aspettano i compagni: la più giovane e il più anziano in seno al Consiglio comunale, dunque, danno esempio di correttezza, di educazione, di compostezza e, soprattutto, di rispetto. Non si tratta di non doversi e non potersi fermare durante il consiglio, poiché una pausa cena (assieme alle altre pause) è più che legittima se discreta, contenuta, accettabile. Ma quanto accaduto martedì scorso è tutto l’opposto. Oltre un’ora per mangiare comodamente seduti ai tavoli di un locale, evidentemente più rilassanti e meno impegnativi degli scranni consiliari. Oltre un’ora di pausa trascorsa non in una delle stanze della casa comunale, magari per le lungaggini di una discussione particolarmente impegnativa, ma fuori dal palazzo e dopo aver interrotto i lavori del civico consesso assicurandone una pronta ripresa. Senza nessun riguardo per i malcapitati che aspettavano la discussione e la decisione su un problema del paese. E senza nessun riguardo per la città, al di là dell’esiguo pubblico in sala. Uno scivolone, un errore che, a giudicare dalle facce post cena, non dovrebbe ripetersi mai più. C’è chi ha scherzato, chi ha chiesto scusa, chi è rimasto in silenzio. L’importante è non ricascarci: se sbagliare è umano, perseverare non è ammesso. Lo svolgimento di un consiglio comunale non è un favore che si fa a chi ha voglia e tempo di seguirlo, ma è un adempimento che ogni singolo consigliere dovrebbe essere felice ed entusiasta di affrontare per mostrare anzitutto il proprio impegno. Altra cosa: chi ha l’onore e l’onere di occupare uno scranno del Consiglio comunale deve essere in grado di tenere un atteggiamento composto e ordinato nel corso della seduta. La sala consiliare non è un mercato, non è un via vai di gente che passa da una bancarella a un’altra. È il luogo del dibattito politico e istituzionale, del confronto, del futuro. È il luogo dove ogni singolo componente può parlare alla città, può relazionare, può segnalare, può denunciare. Ma non alzandosi di continuo, magari più consiglieri assieme. Ci sono troppi momenti in cui si fa fatica a mantenere il numero legale, e tra l’imbarazzo generale bisogna richiamare tutti all’ordine per consentire il prosieguo dei lavori. Ancora un’altra cosa: l’aula consiliare – ma pure una semplice conferenza stampa – non è un teatro, né il set di un programma televisivo. Basta applausi per ogni cosa, per ogni stupidaggine, per ogni frase e ogni singola parola. Il pubblico e la città non vogliono vedere consiglieri che (si) battono le mani per ogni cavolata, ma solo e unicamente risultati concreti a favore della comunità. E stiano certi, sindaco, assessori e consiglieri, che se e quando i risultati arriveranno, non saranno più costretti ad applaudirsi da soli.
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