Non è accettabile che il grado di allarme sociale e pubblica indignazione sia direttamente proporzionale al colore della pelle dei soggetti coinvolti. La cronaca locale anche di recente ha raccontato di liti furibonde, che spesso celano prove di forza necessarie per mostrare il controllo del territorio da parte di giovani leve dei clan o aspiranti tali, ma a quanto pare solo quella avvenuta a San Ferdinando durante la tradizionale festa di Santa Barbara ha suscitato pubblica indignazione e reazione.
Al momento non è dato sapere cosa sia successo davvero la sera del 14 agosto, cosa o chi abbia dato origine alla lite e quale sia stata la sua evoluzione. Quel che è certo e deprecabile è la reazione di chi, per il presunto gesto di pochi, si è scagliato contro un’intera comunità, la stessa che da tempo viene sfruttata per pochi spiccioli nei campi della Piana. Autoproclamati difensori di San Ferdinando si sono sentiti in diritto e in dovere di organizzare ronde che sanno di “caccia al nero”, alimentando insofferenza e intolleranza. E a gettare benzina sul fuoco la solita “certa stampa” sempre pronta a cavalcare l’onda dell’intolleranza alla ricerca di clic.
Quattro persone non possono rappresentare la comunità africana presente nella Piana di Gioia Tauro, così come San Ferdinando non può essere rappresentata da chi ha cercato di “difenderla” in un modo così assurdo e violento. Pur riconoscendo alla comunità sanferdinandese non solo il peso di aver dovuto affrontare, spesso con una pesante solitudine istituzionale, il dramma di baraccopoli e tendopoli, ma anche lo sforzo per promuovere forme di accoglienza e inclusione, non possiamo non stigmatizzare questo nuovo episodio di intolleranza. Allo stesso modo, non possiamo non tornare a sottolineare che fino a quando persisteranno forme di apartheid e ghettizzazione, sperare in una convivenza pacifica rimane una mera utopia.
Speriamo un giorno che gli eroici quanto improvvisati difensori dell’ordine e della sicurezza scendano in strada per opporsi finalmente a chi realmente devasta e saccheggia i nostri territori, e che si chiamano ‘ndrangheta, multinazionali, politicanti e affaristi senza scrupoli. Non certo gli africani che da trent’anni e passa ormai sono presenti nella Piana di Gioia Tauro, soprattutto durante la stagione agrumicola. Ad affermarlo non sono organizzazioni “buoniste” della società civile ma le statistiche delle forze dell’ordine, che anno dopo anno attestano che il pericolo sociale in quelle terre è rappresentato dalla ‘ndrangheta e dai suoi uomini, che hanno ucciso, ferito, sparato, depredato la Piana. Episodi criminali che di certo non hanno pari nella comunità africana, nonostante questo bersaglio di odio e intolleranza.
Alle varie istituzioni ribadiamo tutte le nostre preoccupazioni dovute a una gestione folle della questione immigrazione, a partire dai vari decreti sicurezza e passando dallo sgombero della baraccopoli del marzo scorso. Va affrontata, e subito, la questione dell’inserimento abitativo diffuso, altrimenti la prossima stagione agrumicola rischia di essere ingestibile, soprattutto se si continueranno a trattare esclusivamente in termini securitari questioni inerenti a diritti, lavoro e sviluppo.
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