“Decisamente questo periodo buio e triste che ci ha colto tutti all’improvviso e che tutti stiamo attraversando non è stato affatto facile da affrontare per nessuno, figuriamoci per le fasce deboli, vulnerabili la cui emergenza rappresenta un ulteriore dramma in aggiunta alle difficoltà quotidiane già esistenti. Perciò vivere in un ghetto come l’ex Polveriera ai tempi del Coronavirus è impossibile, ma ciò nonostante da settimane noi famiglie rimaste nella baraccopoli cerchiamo, per come possiamo e nei limiti delle nostre possibilità, di rispettare le direttive governative e locali per dare il nostro contributo al contrasto del contagio da Coronavirus. Non tutti noi siamo dotati di dispositivi di protezione individuale come d’altronde tutta la popolazione lamenta da giorni viste le difficoltà nel reperire le mascherine. L’emergenza da virus vissuta qui all’interno delle nostre baracche appare come una missione impossibile. Pur non volendo uscire di casa per non trasgredire l’ordinanza e rispettare le direttive, la scarsa condizione strutturale ed igienico-sanitaria delle abitazioni non ce lo permette poiché all’interno di quest’ultime non vi sono le giuste ed adeguate condizioni per farlo dignitosamente. Infatti da due anni siamo circondati dalle macerie delle baracche demolite dalla ditta prescelta dal Comune per effettuare la bonifica mai del tutto ultimata. Per tali motivi noi famiglie già prima del Coronavirus vivevamo in uno stato di perenne emergenza, degenerata in questi giorni ancor di più mettendo in grave pericolo non solo noi famiglie dell’ex Polveriera, ma anche la salute di tutta la cittadinanza circostante all’area. Questo ghetto non solo rappresenta una gabbia sociale ma soprattutto appare agli occhi di tutti come una vera e propria bomba ecologica inesplosa, che ogni giorno mette a repentaglio l’incolumità di tutti a prescindere dalla cultura dalla cultura di origine”. Alessandro, un giovane di 26 anni, descrive così la quarantena nelle baracche dell’Ex Polveriera, dove abita fin dalla nascita.
Ad ascoltare la voce del giovane Alessandro è l’associazione Un Mondo Di Mondi (Giacomo Marino- Cristina Delfino), che manifesta tutta la propria indignazione davanti all’incresciosa situazione: «La quarantena da Covid 19 per le 16 famiglie che ancora abitano la baraccopoli è un vero inferno che potrebbe anche favorire la diffusione del contagio. Non è una condizione umana essere bloccati dentro una baracca per 24 ore al giorno per quasi due mesi, in spazi angusti, sovraffollati, umidi, antigienici, invasi da insetti e roditori che provengono da tonnellate di rifiuti accatastati negli spazi vicini. Spazi dove piove dentro e dove il distanziamento è praticamente impossibile. Ma è anche peggio sapere che questo si sarebbe potuto evitare se il Comune di Reggio Calabria avesse fatto quello che aveva annunciato due anni fa».
«Nell’aprile del 2018 – ricorda Un Mondo di Mondi – il Comune di Reggio Calabria, in collaborazione con la Prefettura di Reggio Calabria, l’Agenzia Nazionale dei Beni confiscati ed il Tribunale di Reggio Calabria, ha avviato il progetto “Ex Polveriera dall’emergenza abitativa alla legalità percepibile” con il quale avrebbe dovuto dislocare in alloggi confiscati le 32 famiglie residenti nella baraccopoli da 60 anni. Ma il Comune dopo averci lavorato fino al mese di settembre 2018, dislocando negli alloggi la metà delle famiglie, ha abbandonando nelle baracche le altre famiglie in mezzo ai rifiuti che aveva prodotto demolendo le baracche delle famiglie dislocate. Nel mese di febbraio 2020, poco prima dell’emergenza Covid 19, la Giunta comunale ha approvato (DG nr 2 del 18/02/2020) il progetto esecutivo per la demolizione della Selleria dell’ex Polveriera ed il risanamento dell’area, ma ha completamente ignorato le 16 famiglie lasciate del ghetto. Come se non bastasse ha pure dichiarato sui media che tutte le famiglie sono state sistemate negli alloggi. La dichiarazione è stata prontamente smentita dalle Associazioni. Invitiamo il sindaco Falcomatà e la Giunta a valutare seriamente la pericolosità di contagio che esiste in questa baraccopoli e quindi a provvedere, con le azioni necessarie per il momento, a realizzare l’equa dislocazione delle 16 famiglie rimaste nella baraccopoli. Oggi più che mai – conclude l’associazione – il diritto fondamentale all’alloggio adeguato è uno dei principali strumenti di salute pubblica».
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