Il Messina, all’epoca dei fatti ricopriva la carica di sindaco della città di Villa San Giovanni e fu mandato a processo con l’accusa di corruzione aggravata per avere, nell’ipotesi iniziale, favorito una organizzazione criminale denominata “ndrangheta” e, nel dettaglio, per avere «asservito la propria funzione prima di vicesindaco e poi di sindaco del Comune di Villa San Giovanni agli interessi degli imprenditori interessati alla riapertura del centro commerciale “La perla dello Stretto”, intervenendo sul responsabile del procedimento per accelerare il rilascio delle autorizzazioni alla riapertura, ricevendo in cambio l’assunzione di soggetti da lui segnalati, anche tra i propri sostenitori politici», aggravante mafiosa già caduta con la sentenza di appello.
Accogliendo le tesi difensive, la Corte ha di fatto ricostruito la vicenda con una nuova e diversa chiave di lettura, annullando infine la decisione dei giudici e ordinando un nuovo processo da celebrarsi presso diversa sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria.
I giudici della Cassazione, infatti, hanno sancito che il processo d’appello venga celebrato ex novo e intimato ai giudici territoriali di «riesaminare per intero» la vicenda «senza necessità di soffermarsi sui soli punti oggetto della pronuncia», evitando di non «incorrere nuovamente nei vizi rilevati, fornendo in sentenza adeguata motivazione» che dia certezza in «ordine all’iter logico-giuridico seguito».
I difensori avevano messo in luce le falle e le illogicità delle sentenze a carico del loro assistito che i giudici della Corte di Cassazione hanno pienamente condiviso.
Oltre ad avere sancito, in base agli atti del dibattimento, come non vi fu interferenza del Messina sui dirigenti comunali per accelerare la pratica relativa al rilascio delle autorizzazioni per l’apertura de “La Perla dello Stretto” è stato accertato il solo intervento dell’avv. Paolo Romeo. Peraltro – come affermato dalla stessa dott.ssa Canale, Comandante della Polizia Locale, quando la pratica era ormai in via di definizione.
Scrive poi in sentenza la Cassazione, rispetto ai contatti con gli imprenditori privati che «non è inusuale che un pubblico amministratore, peraltro di una cittadina non particolarmente grande, abbia contatti con i protagonisti di un’operazione commerciale dall’alto contenuto strategico per l’economia locale, sia sotto il profilo dell’impulso alle attività economico-commerciali che quanto alla garanzia di livelli occupazionali. Tanto più che si trattava di ripristinare un livello di occupazione che era stato già compromesso dalla chiusura del centro».
I Giudici del Palazzaccio affermano, inoltre come nella sentenza cassata troppo «sbrigativamente», i giudici erano pervenuti ad una conclusione apodittica, che a loro giudizio non andava argomentata, limitandosi ad «un generico riferimento alle captazioni ambientali e telefoniche tra il Sindaco e tutti i soggetti coinvolti».
Clamoroso, poi, il travisamento nell’interpretazione di un episodio, in particolare, riferito ad un viaggio a Catanzaro, dove la captazione della frase “Interdonato di Messina” viene letta, riportata e posto a giustificare una sanzione afflittiva così tanto grave, nell’errata convinzione che uno dei passeggeri di quella autovettura fosse «Antonio Messina» che invece è stato dimostrato, era completamente estraneo alla vicenda e in tutt’altro luogo: «il travisamento della prova, già denunziato nel gravame di merito, in cui sarebbe incorso il Giudice dell’abbreviato» scrive la Corte, non vi possono essere dubbi.
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