Quello che sta emergendo sui recenti fatti di Scilla, grazie alle precisazioni delle autorità intervenute e all’approfondimento giornalistico, mi sembra un quadro meno brutale di quanto palesato nell’immediatezza.
La violenza come mezzo di risoluzione delle controversie non ha colore politico, appartiene a tutti gli “aggressori”, a chi interpreta la propria superiorità – fisica o di potere – come strumento di sopraffazione.
In questo caso, non sembra affacciarsi, per fortuna, l’aggravante razziale.
Il debole “Rosario” ha la peggio in una lite con un singolo soggetto e la “motivazione” non e’ il colore della sua pelle.
La vicenda, però, a ben vedere, non e’ per questo meno significativa.
La violenza non lo e’ mai e non ci dobbiamo abituare alle sue espressioni più critiche.
Chi ha la peggio, infatti, e’ sempre il più debole, il più isolato dal gruppo, l’emarginato, l’estraneo dinamiche sclerotizzate di gestione del territorio, del lavoro, degli affari, delle dinamiche relazionali.
Ecco perché la questione e’ anche “politica”, cioè coinvolge le regole del vivere civile, rimanda a deficit culturali precisi, al disconoscimento del buon senso e del “diritto” per risolvere controversie e conflitti.
Il caso “Rosario” e’ esemplificativo, mi pare, di un deterioramento progressivo della qualità dei rapporti urbani.
Valgono sempre di più, e lo vediamo in tanti fatti di cronaca in giro per l’Italia, solo la forza bruta, solo i rapporti di forza nudi e crudi.
Tutto questo e’, senz’altro, anche l’effetto dello sdoganamento di un certo “cattivismo” , del farsi “giustizia da soli”, di un anarchismo sociale che premia solo – nel silenzio impotente delle Istituzioni – il più arrogante, il più forte e, in ambito lavorativo ad esempio, la parte predominante di un “patto leonino”, di un falso “accordo”, che nasconde la verità di fatto nuda e cruda: “io sono il padrone e tu il servo”.
Ecco perché la nonviolenza – il ricorso sempre e comunque alle regole di giustizia, l’intervento degli organi deputati al controllo e alla vigilanza, l’applicazione del principio di eguaglianza sostanziale, l’opposizione “politica” a chi continuamente mette contro noi e loro, il normale e il diverso, il capo e il sottomesso, il forte e il debole, il vincente e lo sconfitto, il sano e il disabile – e’ il viatico per la trasformazione reale, concreta della realtà.
Ed ecco perché i fatti di violenza, il confronto fisico o morale “sproporzionato”, la paura e il terrore che la brutalità fa emergere, vanno sempre denunciati, stigmatizzati, condannati.
E’ stato importante che, a Villa, tutte le forze sociali e politiche e tanti cittadini siano intervenuti nell’immediatezza, esprimendo vicinanza e affetto per la mitezza, da anni sperimentata, di “Rosario”; significa che non e’ tutto perduto, che c’e’ ancora del bene in giro.
Speriamo – e la speranza in questi casi deve divenire fattiva e non semplice affidamento sterile – che il caso “Rosario”, l’indignazione popolare per il debole concusso e umiliato dall’esercizio di violenza e di arbitrio, illumini la retorica e sconfigga la demagogia binaria – Amico/Nemico – di tanti, troppi attori politici che hanno lucrato consenso, in questi anni, provocando gli istinti più bassi della gente, legittimando la violenza verbale – e non solo verbale – e l’indifferenza sociale nei confronti dei più umili, degli indifesi, dipinti, nei diversi contesti, come “invasori”, come “diversi”, come “difformi”, come “altro” rispetto ad una “identità” di gruppo, troppo spesso chiusa, estraniante.
“Rosario”, probabilmente, tornerà alla sua vita consueta, dignitosa e essenziale; probabilmente non ci saranno “querele”, tutto presto sarà dimenticato.
E’ giusto così ?
Tocca a noi non dimenticare e fare di ogni atto di violenza un “caso politico” da approfondire, da analizzare, da offrire alla cittadinanza come occasione di riflessione e progresso.
In Città, a Villa, Destra e Sinistra sono riusciti a farlo per “Rosario”, occorre farlo per tutte le vittime del sopruso.
*Segretario Circolo Partito democratico
Villa San Giovanni
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